Nei Commentarii Piccolomini si scaglia contro Ruggerotto, figlio di Jacovella da Celano, e ne narra le disgrazie. La colpa delle sue azioni, però, non ricade sull’uomo: Pio II crede che le sventure del figlio siano una punizione ai peccati commessi da sua madre.

Castello Piccolomini di Celano, Abruzzo.

Pio II ripercorre nell’opera la vita della donna: Jacovella, ultima esponente della famiglia dei conti di Celano, alla morte del padre aveva molti pretendenti poiché le sarebbe spettata l’eredità del feudo abruzzese. Papa Martino V, deciso ad avere un controllo su quel territorio, fece sposare la giovane ragazza con suo nipote, Odoardo Colonna; il matrimonio durò solo tre anni poiché Jacovella decise di separarsi, accusando il marito di essere affetto da scrofolosi e di impotenza. Piccolomini smentisce tali insinuazioni dimostrando come Odoardo ebbe parecchi figli dalla successiva moglie.

Il secondo matrimonio fu quello con Jacopo Caldora, precedentemente menzionato nei Commentarii e da Enea definito come il più grande traditore del suo tempo.

Alla morte del secondo marito, Jacovella sposò suo nipote Lionello Accrocciamuro, il matrimonio è quindi incestuoso; inoltre, si sospettava che precedentemente i due avessero già intrattenuto una relazione adulterina. Dalle terze nozze nacque Ruggerotto che, secondo Pio II, è il frutto della colpa della madre:

digna matris soboles at non dignus criminis ultor

Piccolomini ritiene che Ruggero è la punizione che Jacovella riceve per i peccati commessi e, allo stesso tempo, le sventure del figlio sono dovute alle colpe della madre. Il condottiero, infatti, aveva militato nell’esercito francese contro la volontà della donna e per questo era successivamente caduto in disgrazia. Ritenendo ingiusto il giudizio pronunciato dalla donna contro di lui, decise di tradirla alleandosi con Jacopo Piccinino e sottrarle il controllo della contea di Celano. Lo scontro descritto nei Commentarii vede un combattimento tra la madre e suo figlio, scrive Pio:

mater filium sagittis impeti iubet, filius matrem omni telorum genere quaerit, nec ulla inveniri conciliatio potest

Jacovella, definita infelice, viene fatta prigioniera dal suo stesso figlio, snaturato:

Expugnatur tandem ruentibus muris infelix mater atque impiissimi filii captiva clauditur.

La vicenda della contessa di Celano subisce una drastica svolta grazie all’intervento di Pio II: la donna viene liberata dal figlio e si reca a Tivoli per ringraziare il pontefice. Durante l’incontro, i due hanno la possibilità di dialogare, Jacovella chiede perdono attraverso un gesto di supplica e lo ringrazia per avrle concesso la libertà. Piccolomini, non solo la assolve, ma le assicura il possedimento di alcuni castelli pugliesi da lasciare in eredità al suo secondogenito.

Enea inizialmente muove accuse nei confronti di Jacovella per gli atti compiuti dal figlio, evidenziando la facilità nell’attribuzione di responsabilità al femminile, coerentemente alla visione dell’epoca in cui Piccolomini scrive.La modernità del Piccolomini sta nel cambiamento del giudizio nei confronti della donna che, nonostante i suoi peccati, viene perdonata e aiutata.

PICCOLOMINI, Commentarii: Libro XI, cap II; Libro XII, cap XXV.