Le stampe veneziane di Filopono: problemi e prospettive di ricerca
Tommaso DE ROBERTIS | Università di Macerata
Ospite del secondo incontro del X ciclo di seminari sull’Umanesimo Adriatico, Tommaso De Robertis, con il suo intervento ha presentato la trasmissione manoscritta e soprattutto a stampa del commento alla Fisica aristotelica realizzato dal filosofo e grammatico Giovanni Filopono (c. 490 – c. 570), docente ad Alessandria, che raccolse e trascrisse tutte le lezioni di Ammonio di Ermia. Guardando alla ricezione latina delle opere di Filopono, collocata nel XV secolo, uno dei primi manoscritti a tramandare i primi quattro libri del commento (i restanti quattro erano sopravvissuti solo in frammenti) è un codice appartenuto al Niccoli, inviatogli nel 1417 dal geografo Cristoforo Buondelmonti (Bibl. Laurenziana, ms. Plut. 87.06), utilizzato per editare il quarto libro dell’editio princeps.
La prima edizione a stampa del testo greco esce a Venezia nel 1535 per i torchi di Bartolomeo Zanetti e le cure di Vittore Trincavelli; mentre la prima traduzione latina viene pubblicata nel 1539, sempre a Venezia, da Ottaviano Scoto. La lettera prefatoria dell’editore Guglielmo Doroteo, che costituisce la retorica ammissione di modestia, riflette la resa letterale del testo. Interessanti le considerazioni sopra la seconda traduzione latina, stampata a Venezia nel 1558, e in particolar modo sul suo curatore Giovanni Battista Rasario. Sebbene nella dedicatoria Rasario, che utilizza toni molto aspri indirizzati al precedente traduttore, sembri preannunciare una versione del testo qualitativamente più alta, si limita a riprodurre fedelmente la traduzione di Doroteo. Quando nel 1569 viene pubblicata a Venezia da Vincenzo Valgrisi un’altra edizione latina del commento, curata dallo stesso Rasario, la traduzione è invece divergente.
Nella singolare prefatoria, l’editore scrive che un suo amico, il quale aveva trovato i libri perduti del commento di Filopono, era disposto a recapitarli per la stampa. La notizia, da ritenersi falsa, deve essere letta alla luce delle vicende di falsificazione che avevano interessato Rasario. Questo infatti aveva contraffatto il testo greco di opere perdute di Galeno, dichiarandone la presunta scoperta. E la prefatoria sottintende una pianificazione simile. L’impresa galenica, che lo aveva impegnato molto, probabilmente non gli aveva consentito di fornire una prima vera traduzione latina del commento di Filopono. Se all’altezza del 1569 Rasario menziona ancora l’esistenza dei quattro libri perduti è un fatto dovuto, come ipotizza De Robertis, a due motivazioni complementari. Rasario, il quale aveva forse già parlato della scoperta di questi libri ad amici e tipografi, avrebbe sentito l’esigenza di spiegare perché dopo tanti anni non avesse mai portato a termine l’operazione di traduzione. Forse, non escludeva nemmeno la possibilità di editare e tradurre i libri in futuro.
Grazie a tutte e a tutti per la partecipazione e appuntamento al 9 dicembre.